Fu senza ombra di dubbio l’esperienza più profonda della mia gioventù, ad oggi credo che la maternità rimanga imbattibile, ma all’epoca, con un fidanzato che mi considerava meno dei suoi vizi e che infatti si era trasferito a Londra, partire mi sembrò una decisione indispensabile.
Non avevo nessuna intenzione di seguirlo, ma sentivo la necessità di dimostrargli che valevo molto di più di quanto pensasse, scegliere di partire per un ospedale in Kenya fu un chiaro messaggio per lui, che recepì benissimo:” Guardati, sei scappato da me per trovare te stesso, ma hai scelto come meta la città più densamente popolata da Italiani dell’intera Inghilterra, avevi bisogno di sentirti indipendente poi ti lamenti ogni giorno di essere solo, di non riuscire a stringere amicizie…. Invece io ti dimostrerò che posso cavarmela in un posto totalmente differente da quel mio stile di vita che hai tanto criticato, in cui non c’è nulla di comodo, nulla di occidentale, dove non basta una lingua per capirsi, dove ci vuole cuore… quello che tu non hai!”
E fu così che armata di una forza che non sapevo di avere trasformai una sfida in un’esperienza che mi ha arricchita, che mi è entrata dentro come la terra rossa d’Africa e che spero di poter condividere nuovamente, un giorno, con la mia famiglia… come Stefania.
Ho conosciuto Stefania proprio nella Casa del Tamarindo, nel febbraio 2009, purtroppo restai solo una settimana perché come prima esperienza mi consigliarono una permanenza breve, di certo la mia avventura non è minimamente paragonabile alla storia d’amore che lei ebbe con quella terra e per cui la invidio tanto.
Devo ringraziarla tanto perché leggendo il suo libro mi sono ritrovata in ogni pagina, ho riassaporato le sensazioni del viaggio, ho rivisto attraverso i suoi occhi la vallata davanti alla casa del Tamarindo in cui “l’occhio affonda”, la Mungoni Forrest, le notti gonfie di stelle; ho richiamato alla memoria quegli odori inizialmente forti ai quali però ci si abitua in fretta, le emozioni contrastanti di paura e speranza provate nell’ospedale di Tharaka; quella sensazione di “sentirsi nel posto giusto” e tutto l’amore per quella terra calda e per i suoi piccoli abitanti che purtroppo non ho potuto frequentare spesso poiché che ero solo un’igienista dentale (figura particolarmente inutile in un contesto come quello) e cercavo di rendermi utile assistendo il dentista e il chirurgo.
Grazie Stefania per questo tuffo in Africa, ho riso e pianto tanto, so che lo rileggerò ogni volta che sentirò freddo al cuore.
conlamiavaligiagialla.blogspot.it

Nessuno di noi è indispensabile, sulla terra rossa, ma siamo/siamo stati tutti ugualmente importanti...anche la tua presenza è stata preziosa..nel mio prossimo libro parlo anche di te, di quel lontano 2009 ^_^
RispondiEliminaUn abbraccio Wonder Mamma!!